Digital Orbit al Laboratorio Quazza Piemonte Share

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ore 10.30 Bruce Sterling questa mattina che farà l’uomo-wired, impersonando “Riccardo Luna” , sarà una gag alla Bruce. Simpatica e ironica, ma mai esagerata. Parlerà della differenza di Wired america e Wired italia. Puoi seguire in diretta streaming su ww.toshare.it .

ore 11.00 Share Festival invita Erik Natzke, un artista, designer e programmatore che crea e materializza le sue idee attraverso l’immaterialità del codice informatico. La sinergia data dalla sua sensibilità e dalla sua testardaggine gli ha permesso di spingere i limiti di questo media oltre le metodologie conosciute.

ore 12.15 Club To Club inviterà l’artista statunitense Carl Graig, uno dei padri fondatori della moderna musica elettronica, a presentare la propria produzione multimediale e Trista dj e musicista elettronico.

Il cinema è il cinema: La fine del cinema a Share

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Il cinema è il cinema: La fine del cinema a Share
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La fine del cinema a Share

Simone Arcagni

Eccomi a relazionarvi sulla conferenza sulla fine del cinema organizzata a Share da Luca Barbeni… Luca ha introdotto il tema notando come accanto al cinema si stanno sviluppando altre forme di audiovisivo che si servono delle nuove tecnologie e della rete e che osservano regole diverse da quelle cinematografiche: gli schermi si moltiplicano, viene richiesta la  partecipazione, l’interattività, i prodotti sono ibridi e crossmediali. A mia volta, citando Greenaway, ho spinto le cose un po’ più in là dichiarndolo addirittura morto, il cinema… il cinema come istituzione, come meccanismo sociale, il cinema come tradizione, modalità esperienziale e modo di fruizione. Mi interessa come i margini del cinema, come i documentari, i clip, i trailer, i commenti, i making of, le news, l’animazione, il cinema speriemntale, stiano colonizzando la rete e quindi siano in grado di produrre un audience più vasta di quella del cinema tradizionalmente inteso, quello della sala. Un audience diverso che segue regole di fruizione diverse e si aspetta esperienze differenti. Yaniv Wolf di Submarine Channel ha potuto presentare la loro programmazione, fatta di serial interattivi, di video da partecipare, commentare, scambiare. hanno presentato il progetto di videogioco chiamato Tulse Luper realizzato da Peter Greenaway… il videogioco ha avuto più “spettatori” del film omonimo… benvenuti nel postcinema.

Le mostre sono on line

Dopo l’apertura di Share Festival al Museo di Scienze Naturali ora le due tra le mostre più significative del festival sono on line.

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Market Forces
a cura di Simona Lodi >>>

Possono gli artisti essere una fonte alternativa di informazione sull’economia? Nella mostra Market Forces sono stati coinvolti artisti che hanno lavori attinenti al marketing, l’e-commerce, la comunicazioen commerciale. Opere scherzose e paradossali che spesso usano il supermencato reale o virtuale come privilegiato da sovvertire e da trasformare in campo d’azioen artistico, molto spesso attivista.

La mostra aggrega opere che fanno scricchiolare il suono ridondante di  parole abusate come marketing, e-commerce, global companies, credit crunch, new-economy, neo-capitalismo, gift- economy, free-economy, neoliberismo.

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Fino alla fine del Cinema
a cura di Luca Barbeni >>>

Fino alla fine del Cinema
presenta una serie di opere audiovisive che iniziano un percorso proprio dove il cinema lo ha terminato, passando dalla linearità all’interattività e da una visione collettiva a una individuale.
Queste opere utilizzano a diversi livelli l’infrastruttura globale che è la rete, per le sue qualità
intrinseche e rappresentano un’evoluzione delle tecniche espressive per la narrazione audiovisiva. Le opere presentate non sono più cinema, non sono già qualcos’altro.

Squatting Supermarkets. I loghi e i luoghi del consumo: Salvatore Iaconesi

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Squatting Supermerkets è un titolo è affascinante, ma il contenuto lo è ancor di più. Per i compulsivi dello shopping e per chi dello shoping non si fida, quest’opera d’arte sfida la percezione ordinaria dell’acquisto proiettandola in una nuova dimensione: sensoriale, etica, estetica. Ma cerchiamo di capire insieme di che si tratta.

Progetto speciale del Piemonte Share Festival 09, Squatting supermarkets è un’installazione interattiva che riproduce un supermercato in Realtà Aumentata. Il cuore tecnologico dell’installazione è un’applicazione iPhone basata sul riconoscimento dei loghi, iSee, che usa l’infrastruttura fisica e informazionale del marketplace (punto vendita+logo) per riprogettare radicalmente atto più estremo, quotidiano e pervasivo del consumismo, lo shopping. A questo punto, la dimensione di squotting evocata nel titolo dovrebbe iniziare a chiarirsi ai lettori.

le potenzialità di un intervento di questo tipo sul tessuto (economico, sociale, antropologico) del consumo. L’arte esce definitivamente dagli schemi mostra/museo/oggetto e si getta con gioia primitiva nel processo, nell’ibridazione con le tecnologie, la comunicazione e la publicità, sbarazzandosi definitivamente di un falso complesso verso mercato: una galleria non confesserà mai di essere un supermercato (d’élite e raffinato, ma sempre un supermercato), mentre chi la frequenta stenta a riconoscersi come un banale consumatore (d’arte ma sempre consumatore). Questa arte non desidera essere esposta, venduta, collezionata: se il supermercato diventa la sua location per eccellenza, l’intervento artistico non non si limita al detournamento della merce, ma è una vera e propria azione di revers engineering delle dinamiche del consumo, costringendo a trasformare in senso ecosistemico il concetto stesso di valore.

(altro…)

Seppukoo.com / The end is coming. Are you ready?

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Seppukoo.com / The end is coming. Are you ready?

START!!!

Seppukoo.com: assistiamo il vostro suicidio virtuale
Seppukoo è la nuova meta-piattaforma sociale basata su Facebook tipicamente 2.0, rimanda a un’antica forma di suicidio rituale giapponese, il “seppuku”.!”.

Come funziona
Seppukoo agisce concettualmente come un virus e si moltiplica attraverso l’uso di strategie di comunicazione virale.
Per ogni utente che commette il suicidio, un messaggio promozional-commemorativo viene inviato a tutti gli amici e contatti, in modo che questi stessi possano a loro volta entrare nel network suicida: l’approccio autodistruttivo alla comunicazione virale è alla base dell’intenzione di infettare uno dei più popolari Social Network non tanto dal punto di vista del suo corpo fisico basato sulla parte software, quanto attraverso la sua più importante risorsa: l’utente e la sua stessa comunità, un corpo sociale senza un vero e proprio corpo.

Les Liens Invisibles

Credits
> Seppukoo.com is a project by the imaginary art-group Les Liens Invisibles.
> Brand Design + Web Design by parcodiyellowstone (www.parcodiyellowstone.it)

www.seppukoo.com

Il progetto Seppukoo fa parte della mostra Market Forces a Share Festival 2009 a cura di Simona Lodi.

Intervista con Matthew Kenyon

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Intervista con  Matthew Kenyon, che presenta Consumer Index con Doug Easterly a Share Festival 2009 nella mostra Market Forces curata da Simona Lodi.

Simona Lodi: Che cosa significa e perché ti interessa sviluppare l’arte con i prodotti del supermercato?
Matthew Kenyon: I supermercati oggi sono una proiezione del panorama dei desideri umani e questo oceano di desiderio esercita un’influenza negativa sulla capacità di giudizio nelle scelte collettive, all’interno del nostro contesto culturale. Ad esempio, Jonah Lehrer e Antonio Damasio scrivono di un esperimento fantastico nel corso del quale viene chiesto di memorizzare una serie di numeri, tanto a chi subisce l’esperimento quanto a quelli che monitorano. Al gruppo di quelli che sono soggetti all’esperimento viene chiesto di ricordare sette numeri (che è più o meno il massimo che una persona normale riesce a memorizzare), mentre al gruppo di controllo vengono fatti tenere a mente due o tre cifre. Mentre sono tutti impegnati nel fare del loro meglio per ricordare la serie di numeri, ad entrambi i gruppi viene presentata una scelta tra due offerte, ovvero preferiscono: a) una torta al cioccolato; b) una nutriente tazza di frutta.
Sotto tensione, il gruppo che partecipa all’esperimento finisce per mangiare la torta, mentre quello di controllo la frutta. Quando siamo sopraffatti dalle scelte o distratti da qualcosa, la nostra capacità di giudizio fallisce e noi finiamo per dare retta agli impulsi. I supermercati moderni sono stati progettati per massimizzare i risultati da psicologi che studiano il mercato.
Questo esperimento fornisce l’esempio di come la cultura consumista ci manipoli sfruttando la nostra conformazione naturale. Di questo soggetto tratta anche una nostra opera recente, Consumer Index. Il lavoro è una caricatura che, enfatizzando certe connotazioni idiote, mette in evidenza questo rituale generalmente ignorato.

S.L.: Perché hai deciso di elaborarlo attraverso l’arte?
M.K.: L’arte è un modo alternativo per investigare lo spazio di consumo che si sta trasformando con prepotenza nella fondamentale preoccupazione della cultura consumista occidentale. In questa maniera, l’arte è uno stile di vita alternativo che permette di scegliere un ambiente anti-creativo per l’espressione artistica.
Quegli spazi sono considerati anti-creativi per via della loro evidente funzione di interscambio economico, ma questo non esclude che vengano utilizzati per muovere critiche culturali. I supermercati sono costruiti sulla pratica di non comprare niente al di fuori delle aree dei prodotti in offerta.

S.L.: Hai imparato qualcosa dal progetto? Voglio dire, cosa volevi dimostrare?
M.K.:: Oltre ai punti originariamente in questione, nel processo di costruzione e messa in scena di progetti di questo genere si arriva sempre a intuizioni che non possono essere del tutto prevedibili. La cultura di massa esiste sia come frastagliata struttura grammaticale (fatta di regole su cosa comprare e cosa evitare) sia come risposta individuale (e motivazione specifica dell’individuo). Per esempio, da qualche parte adesso ci sarà una persona che sta comprando una bottiglia da 250 ml di shampoo Johnson and Johnson’s ® Non più lacrime! perché vuole smettere di lacrimare sotto la doccia. La nostra intenzione è rivelare che in realtà noi rappresentiamo qualcosa di più delle nostre scelte tra prodotti e servizi.

S.L.: grazie Matt!

Intervista con John Freyer

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Intervista a John Freyer , che presenta Allmylifeforsale a Share Festival 2009 Market Forces exhibition a cura di Simona Lodi

Simona Lodi: Allmylifeforsale è un progetto online che esplora la nostra relazione con  gli oggetti che ci circondano, il loro ruolo rispetto all’idea di identità e allo stesso tempo l’emergente sistema commerciale via Internet.  Utilizzando lo spazio commerciale pubblico della comunità di vendita via Internet Ebay in cominazione con il tuo catalogo online Allmylifeforsale.com, hai venduto e catalogato praticamente tutto quello che possedevi, dalle posate della cucina ai prodotti di igiene personale, le tue lenzuola di Star Wars e, infine, persino il nome del dominio Allmylifeforsale.com.
Fino ad ora hai venduto più di seicento pezzi, compresi i tuoi denti finti, una fotocopiatrice da ufficio, delle fotografie personali e la tua giacca invernale (nel bel mezzo dell’inverno).

Qual è il significato di questo progetto e quali sono i tuoi interessi nello sviluppo dell’arte e del commercio on line? Hai imparato qualcosa dai vari progetti e dai viaggi che hai intrapreso per visitare luoghi in cui sono finiti i tuoi oggetti? Voglio dire, cosa vuoi dimostrare?
JF:  Riguardo a quello che il progetto significa o ha significato quando l’ho portato a termine, è qualcosa che ha preso forma nel corso dell’anno e mezzo in cui ci ho lavorato. All’inizio lo consideravo un rifiuto della mia identità di consumatore attraverso la depurazione da tutti i miei possedimenti materiali, ma si è trasformato molto velocemente in quello che ho iniziato a chiamare una genealogia degli oggetti. Per poter vendere gli oggetti su eBay dovevo descriverli per iscritto e, come puoi vedere dall’archivio su rhizome.org, la descrizione ha finito per diventare una autobiografia ad hoc. Il progetto era aperto scambi e contributi e la componente del viaggio non faceva parte del mio piano originale ma è nata in maniera spontanea dalla rete di compratori che sono finiti nella mia lista. Gli acquirenti provenivano da ogni parte degli Stati Uniti e gli oggetti sono arrivati fino al Giappone, la Corea, l’Australia e l’Inghilterra. Sto cercando di ricordare se sia mai arrivato qualcosa in Italia.

Simona: sarebbe interessante sapere se c’è stato qualcuno che ha comprato un oggetto.

JF: Ho controllato le mie email ma non ho trovato acquirenti dall’Italia. Ho trovato molta corrispondenza con italiani, ma nessuna vendita. Sono usciti però alcuni articoli che riguardavano il libro e il progetto sulla stampa italiana:
http://www.repubblica.it/online/esteri/vitavendita/vitavendita/vitavendita.html

Continuo a fare lavori nell’ambito “del mercato” tra i quali c’è un programma pilota per la televisione intitola Second Hand Stories che ho realizzato in collaborazione con il regista Christopher Wilcha (quello della serie televisiva This American Life). Il programma era un’indagine sul vasto mondo dell’economia dell’usato negli Stati Uniti come ad esempio Thrift Stores, Yard Sale, University Surplus Centers e simili.
Ho da poco proposto al programma Fulbright di realizzare un progetto in Svezia in collaborazione con il regista e antropologo Johan Lindquist, dal titolo The World Is Flatpack che indagherà sulla portata globale che ha raggiunto IKEA  con il mobile componibile più venduto, l’essenziale “Billy Bookcase”.

S.L. Conosci questo blog: http://ikeahacker.blogspot.com?
JF: Sì, l’ho visto, non è male. Su Flickr ci sono centinaia di fotografie del Billy Bookcases che la gente possiede.

Simona: Ma perché le persone compravano gli oggetti?
JF:  Qualcuno sapeva già che si trattava di un progetto artistico, ma la gran parte delle persone erano semplicemente alla ricerca di qualcosa su eBay. Quando facevo la spedizione dell’oggetto che avevano vinto, allegavo una descrizione del progetto così molti hanno cominciato ad interessarsi a quello che stavo facendo e a spedirmi aggiornamenti e, alla fine, inviti. Gran parte delle persone da cui sono  stato non consideravano necessariamente arte quello che stavo facendo ma volevano,in qualche modo, sostenere il mio progetto. Gli Americani hanno una relazione complicata con le loro cose, perciò molti volevano sapere come era stato per me liberarmi dal grosso dei miei possedimenti materiali.

http://www.allmylifeforsale.com

Intervista a Janez Janša

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Intervista a Janez Janša che con Igor Stromaier presenta ProblemMarket allo Share Festival 2009 nella mostra Market Forces a cura di Simona Lodi.
Simona Lodi: Rimango sempre stupita dall’enorme energia che Janez Janša emana e sono colpita dall’entusiasmo con cui porta avanti i suoi progetti artistici.
Ma sono talvolta confusa dalle sue molteplici identità e attività: artista e direttore artistico di Aksioma, (www.aksioma.org), il suo lavoro ha una forte connotazione sociale, e si caratterizza per un approccio intermediale. Le tematiche dei suoi lavori sono caratterizzate dal saper visualizzare questioni calde. Con il suo lavoro-azione Problemmarket ha anticipato insieme a Igor Štromajer il crollo delle dot.com, dimostrando in modo univoco la complessità delle forze del mercato e di come agiscono su di noi.

Così voglio fargli un po’ di domande.

S.L.: Quando ci siamo incontrati per la prima volta a Torino anni fa per una tua performance a Share Festival tu eri il presidente del Consiglio di Amministrazione di Problemmarket.com – The Problem Stock Exchange (www.problemmarket.com) e ti chiamavi Davide Grassi . Chi eri allora e chi sei ora? Cos’ è e come funziona Problemmarket.com?
J.J.: “Che cos’è un nome?…Non è una mano, né un piede, né un braccio, né una faccia, né nessun’altra parte che possa dirsi appartenere a un uomo…Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome”? diceva Giulietta.
Mi chiamo Janez Janša ma sono sempre io, solo che con un altro nome. Ho effettuato questo cambio anagrafico nell’estate del 2007.
Problemarket.com” controlla l’andamento del mercato all’interno del quale si negoziano le azioni di Società che si occupano della compravendita di problemi. Queste trattano le proprie “merci” all’interno del Mercato Libero dei Problemi sul quale però il CDA della Problemarket.com non ha un diretto monitoraggio. Se non c’è cosa che non possa essere venduta su eBay, e se i valori immateriali sono sempre più spesso all’origine di ingenti flussi di denaro, anche una realtà apparentemente negativa come i problemi, se considerata dal giusto punto di vista, può diventare una risorsa economica, e una fonte di profitto. Per questo, Problemarket.com favorisce la nascita di aziende che lavorano sulla compravendita di problemi, e offre una piattaforma in Internet per lo scambio delle loro azioni, titoli, e obbligazioni, che si svolge attraverso una apposita valuta: il PRO. Secondo la nostra logica, i problemi non vanno risolti, ma mantenuti in quanto fonte di profitto: ecco perché il nostro CDA ha unanimemente sostenuto la candidatura del candidato George W. Bush nelle elezioni presidenziali americane del 2004, investendo in questo modo sul mantenimento dei problemi che la sua presidenza ha generato nel quadriennio precedente; così si spiega anche perché in un passato recente Antonio Caronia, direttore di PROMediaSet, il Centro Studi dei problemi mediatici con sede a Milano, si sia apertamente congratulato con il Premier italiano Silvio Berlusconi per l’abilità con cui ha saputo tenere in vita il conflitto di interessi durante il suoi vari mandati e per la costanza nel fornire sempre nuovi problemi al settore giudiziario. Caronia ha perciò invitato il Cavaliere ad una collaborazione a lungo termine con Problemarket.

S.L.: Questo progetto da una parte è in grado di mettere in risalto i problemi, individuali o collettivi, globali o locali, su cui l’azienda si accinge a fare investimenti, e dall’altra lascia trasparire in maniera ironica e sferzante la denuncia della centralità che l’economia sta acquistando non solo nella vita individuale, ma anche nelle scelte politiche della collettività, sempre più condizionate dai poteri economici delle multinazionali”.
Ma tornando al cambio dei connotati anagrafici… non sei l’unico in Slovenia con questo nome…
J.J.: Si, è vero, ci sono anche un regista teatrale e un artista d’arti visive. Poi c’é un quarto Janez Janša che vive e lavora in Slovenia ma non opera nel settore artistico. Fino al settembre scorso ricopriva la carica di primo Ministro della Repubblica di Slovenia. Un politico di destra, neoliberale e conservatore. Ora guida l’opposizione…

S.L.: Si é parlato molto di questo combio di nome, specialmente in seguito alla censura del progetto Signature event Context (http://www.aksioma.org/sec) al festival Transmediale08 di Berlino. Qual è il motivo che sta alla base di questo gesto?

J.J.: Intendi la loro censura o il nostro cambio di nome?
S.L.: Il cambio di nome… e la ragione della censura
J.J.: La ragione del cambio di nome é di carattere personale e per questo non intendo renderla pubblica. Comunque le interpretazioni non sono mancate: si é parlato di “gesto politico”, di “sovraidentificazione con il leader” e “affermazione sovversiva”, ma anche di “mera operazione di marketing”, “gesto banale” e perfino di “insulto allo spirito e all’ispirazione dell’avanguardia attraverso una svendita mediatica.”
Una tra le interpretazioni piú simpatiche l’ha proposta Zdenka Badovinac, la direttrice della Museo d’arte moderna di Lubiana, la quale sostiene che “Attraverso la moltiplicazione del nome di Janez Janša la funzione del Primo Ministro ha assunto, all’interno di questa specifica azione artistica, una posizione simile a quella delle le lattine di zuppa Campbell’s nel lavoro di Warhol.”

Per quanto riguarda invece l’esclusione della performance Signature event Context da Transmediale08, in programma per la serata di inaugurazione del festival, il motivo va ricercato nelle “convinzioni curatoriali ed etiche” della curatrice Nataša Petrešin Bachelez. Noi non abbiamo ricevuto nessun’altra spiegazione che vada oltre queste quattro parole.

Qui possiamo offrire ai lettori questi due link per una migliore comprensione del lavoro
http://www.aksioma.org/sec/caronia.html
http://www.aksioma.org/sec/quaranta.html

S.L.: Hai fatto qualche mese fa una mostra da Fabio Paris (www.fabioparisartgallery.com )- SS-XXX | Die Frau Helga, The Borghild Project Reconstruction – in occasione della pubblicazione del libro RE:akt! Reconstruction, Re-enactment, Re-reporting, curato da te insieme ad Antonio Caronia e Domenico Quaranta. Il tema della  mostra mi trasporta in un passato della storia mondiale che ha dei riverberi ancora oggi inquietanti. Soprattutto per come i media hanno trattato l’argomento. Dici che ti interessano i “buchi neri” della vicenda e di come “implementarli”. Cosa cerchi di dimostrare?
J.J.: All’origine di questo lavoro sta una notizia, comparsa per la prima volta su un sito internet tedesco nel 2005 ed immediatamente rilanciata in varie parti del mondo da autorevoli testate quali il Clarin, Der Spiegel, il Corriere della Sera, secondo la quale già nel 1941 un equipe di scienziati nazisti avrebbe cercato di realizzare la prima bambola gonfiabile della storia dell’umanità che permettesse ai giovani soldati tedeschi di dar sfogo ai propri impulsi sessuali senza rischiare di contrarre malattie veneree e di mescolare i geni della razza ariana con quelli di altre razze da loro ritenute inferiori.
La notizia originale era ricca di particolari alcuni dei quali si potevano facilmente verificare. Altri invece non trovavano conferma alcuna né sui libri di storia né da nessun’altra parte. Ma questo si poteva semplicemente imputare al fatto che l’intera documentazione del progetto Borghild (cosí era appunto chiamata questa “operazione di massima segretezza”) é andata perduta in seguito al pesante bombardamento che la città di Dresda, dove si stava realizzando la bambola, ha subito verso la fine del conflitto mondiale.
Dunque risultava difficile giudicare se la notizia fosse vera o falsa ma pareva verosimile e nessuna delle autorevoli testate che l’ha ripresa ne ha minimamente messo in dubbio l’autenticità.

Comunque nella mia ricostruzione del progetto Borghild la veridicità o meno del fatto originario non sta al centro della questione. Come nota Domenico Quaranta nel suo saggio pubblicato in RE:akt! Reconstruction, Re-enactment, Re-reporting “in questo caso, ‘ricostruire’ non significa recuperare al presente un fatto originario, ma ‘costruire un’altra volta’ sulle fragili fondamenta offerte dalla memoria; raccogliere la sua fortuna mediatica e contribuire attivamente a essa, affiancando vero e verosimile, storiografia e fantasia, verità e interpretazione” aggiungendo che “la Ricostruzione del progetto Borghild non si affida a nessun senso di fedeltà al passato, perché sa che il passato giunge a noi già irrimediabilmente manipolato. Cerca piuttosto di esplorare la nostra fiducia nel valore di prova degli oggetti e dell’immagine mediatica.

Einstein sosteneva che è la teoria a determinare quello che osserviamo, nella storia come nella scienza: e la teoria che soggiace al Borghild Project è molto interessante perché consente di esplorare, in una volta sola, il potere probatorio del lacerto mediatico; le innovazioni scientifiche e tecnologiche sviluppate dal Terzo Reich; e alcune significative implicazioni ideologiche della teoria della razza pura.”

S.L.: RE: akt! è una piattaforma, un mostra collettiva itinerante (Bucarest, Lubiana, Rijeka) curata da Domenico Quaranta, poi un libro che raccoglie i testi di vari autori e le opere. Un progetto molto articolato che Caronia presenterà a Share Festival 2009…
J.J.: La mostra raccoglie dieci diversi modi di affrontare il concetto di “enaction”: da Ich Lubbe Berlin! (SilentCell Network, 2005), una ripresa dell’incendio del 1933 del palazzo del Reichstag a Berlino, dove viene esplorato il significato attuale dei simboli, come lo stesso Reichstag, e concetti quali “comunismo” e “terrorismo”; a Das KAPITAL (Janez Janša, 2006), una rappresentazione che rimette in scena l’occupazione del 1968 della Cecoslovacchia per mano delle forze del Patto di Varsavia utilizzando codici espressivi cari agli artisti di strada; da C’était un rendez-vous (déja vu) (Janez Janša e Quentin Drouet), un progetto che gioca con la storia paradigmatica di un’opera d’arte famosa, il film C’était un rendez-vous di Claude Lelouch; a VD as VB (2007), una serie di azioni in cui Vaginal Davis, una drag queen di Los Angeles, interagisce con le performance di Vanessa Beecroft.?In Mount Triglav on Mount Triglav (2007 – 2008) i tre artisti Janez Janša, Janez Janša, Janez Janša rimettono in scena una celebre performance degli anni sessanta del gruppo OHO, e ripresa dagli Irwin nel 2004 per il loro progetto Like to Like, riproponendola sulla cima del monte Triglav (simbolo dell’identità nazionale slovena) e trasformandola successivamente in una scultura d’oro intitolata Monument to the National Contemporary Art (Golden Triglav). In Slovene National Theatre (2007), Janša traduce un triste episodio di recente razzismo nei confronti degli zingari – in Slovenia noto come “il caso Ambrus” – in una piece teatrale. Nel loro Synthetic Performances (2007), Eva e Franco Mattes (0100101110101101.ORG) ripropongono sulla piattaforma virtuale di Second Life una serie di performance storiche che sono tutto tranne che virtuali, trattando questioni come come quella del corpo, la violenza, il sesso e il dolore, esplorando il significato di questi questioni nel mondo virtuale. In SS-XXX | Die Frau Helga – The Borghild Project Reconstruction (2007), Janez Janša aggiunge nuovi dettagli e prove a una “leggenda metropolitana” riguardante la presunta creazione della bambola gonfiabile da parte dei nazisti.?RE:akt! non sfrutta solo la performance e il “re-enactment” ma anche strategie come documentazione, remix, “re-invoicement”, ricostruzione e rimediazione (come ad esempio nel progetto The Day S?o Paulo Stopped dell’artista brasiliano Lucas Bambozzi) e altri mezzi di informazione come stampe fotografiche, video, installazioni mediatiche e perfino architettoniche come nel progetto Il porto dell’amore, un omaggio di Janez Janša a Fiume come esempio di utopia pirata.

Il libro é stato recentemente pubblicato dalla FPeditions di Brescia e si propone di offrire alcune risposte alle domande collegate alla pratica artistica del re-enactment e la sua possibile ridefinizione. Attraverso i testi di critici, teorici e artisti quali Jennifer Allen, Antonio Caronia, Rod Dickinson, Domenico Quaranta e Jan Verwoert, e attraverso la presentazione di dieci progetti artistici, il libro cerca di esplorare il rapporto tra gli aspetti storici, sociali e linguistici del re-enactment ed il senso di questa pratica artistica in rapporto alla storia della performance ed alla crescente mediatizzazione della vita.

S.L.: Quale è il concept e come si è sviluppato?
J.J.: Nel corso degli ultimi anni il termine reenactment, e con esso le pratiche che definisce, sono andati incontro, in ambito artistico, a un crescente successo. Questo successo ha preso forma, da un lato, grazie all’avvento, e al successo, di una nuova generazione di performance artist interessati a rimettere in scena performance seminali del passato; e, dall’altro, attraverso una serie di eventi, mostre e convegni che hanno contribuito ad attirare l’attenzione su questo termine.

Da un lato il successo del reenactment sembra collegato a una parallela, energica ripresa della performance art in ambito artistico, sia come genere praticato dalle nuove generazioni, sia come pratica artistica che cerca una propria storicizzazione. Dall’altro, il termine reenactment accompagna due fenomeni che hanno, almeno a un primo sguardo, ben poco in comune: la rimessa in scena di performance artistiche del passato e la riproposizione, in forma performativa, di eventi “reali” – siano essi legati alla storia o alla cronaca, al passato o al presente. Entrambi questi aspetti meritano di essere considerati con attenzione, se non altro perché lasciano emergere la complessità dei fenomeni, delle motivazioni e delle modalità operative che si è convenuto raccogliere sotto un unico termine ombrello: quello, appunto, di reenactment.

L’esposizione RE:akt! Reconstruction, Re-enactment, Re-reporting, curata da Domenico Quaranta,  indaga sulle complessità di questo concetto e sulle strategie di analisi, di critica culturale e di espressione artistica insite nel reenactment.
RE:akt! mette a confronto canoni ideologici e intellettuali correnti, strutture di potere, norme e canali di distribuzione reinscenando alcuni fatti storici e culturali importanti.
Attraverso un processo di analisi, decostruzione, ricostruzione e rimessa in scena, il progetto esamina il ruolo dei media e la loro capacità di manipolare le percezioni e creare leggende storiche postmoderne e mitologie contemporanee.

S.L.: Ho l’impressione che tu voglia dimostrare che i fatti non esistono finché non se ne crea l’informazione, la storia, a quel punto non solo si crea un’opinione, ma anche la forma alla realtà. Cosa rispondi?
I fatti, sia nella memoria personale che in quella collettiva, esistono solo in virtù delle tracce – scritte, iconografiche, materiali e mnemoniche – che hanno lasciato. Come ha dimostrato molto efficacemente l’artista francese Pierre Huyghe nel suo The Third Memory (il re-enactment della clamorosa rapina di Brooklyn – alla quale Sidney Lumet si ispiró per la realizzazione del film culto Dog Day Afternoon – per la quale Huyghe ingaggia il vecchio John Woytowiczs, l’autore originale della rapina) nel processo di ricostruzione, persino il protagonista originario di un evento non può evitare di confrontarsi con il modo in cui esso è stato ricostruito da altri. Se ne conclude che bypassare i media, e il ruolo mediatore della memoria, è pressoché impossibile.

Intervista ad Ernesto Klar

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Ernesto Klar presenta l’opera Convergenze Parallele a Share Prize 2009

– Qual è il ruolo che l’arte digitale ricopre nel rappresentare caos e complessità?

Se si fa riferimento al digitale nell’arte piuttosto che al digitale come categoria, direi che il ruolo che interpreta nell’arte è quello di “(ri)presentare” il caos e la complessità. In altre parole, quando applicate adnun contenuto artistico, le tecnologie digitali hanno la capacità di agire come un semplice “amplificatore” che permette agli artisti di creare in maniera dinamica, acquisire, tradurre e (ri)presentare interpretazionimmultiple e manifestazioni della complessità e del caos nella nostra vita di tutti i giorni.


– Pressioni del mercato. In che modo interagisci con le pressioni del mercato nella tua vita quotidiana?

Ritieni che le architetture hardware e software che compongono la nostra realtà digitale siano pressioni del mercato che opprimono l’artista o che, al contrario, gli offrono nuove potenzialità d’espressione?Le pressioni del mercato di sicuro portano al progresso di sistemi hardware e software, ma gli artisti hanno l’alternativa di valicare i limiti, tanto tecnici quanto economici, imposti da quelle architetture. La comunità open-source in generale è l’alternativa più ovvia. Nella mia produzione artistica, faccio affidamento tanto sui software e sugli hardware open-source quanto su quelli commerciali. E per quanto sia convinto dell’utilità di esplorare le nuove possibilità offerte dai sistemi open-source, credo che nessuno dei limiti di cui si è accennato debba diventare una ragione sufficiente per condizionare il potenziale espressivo degli artisti. Penso che esistano non pochi esempi di opere d’arte eccezionali, create intenzionalmente nell’ambito di sistemi chiusi e superati di software e di hardware, un esempio tra tanti potrebbe essere il Super Mario Clouds di Cory Arcangel.

– Qual è stata l’idea che ti ha ispirato all’inizio e che cosa hai imparato da quel progetto?

L’idea iniziale che alla fine mi ha portato alla creazione di Convergenze parallele era l’esplorazione della luce artificiale come mezzo artistico. Nel corso del processo creativo, mentre lavoravo su una serie di prototipi   he si differenziano abbastanza dall’opera finale, mi trovavo spesso a osservare meravigliato il movimento delle particelle di polvere che passavano nel raggio di luce. È un fenomeno semplice, di tutti i giorni, che mi a affascinato fin da bambino. A un certo punto nel corso dell’elaborazione ho capito di dovermi concentrarmi su quel semplice fenomeno. Nella sua iterazione finale, Convergenze parallele è un’installazione audiovisiva nella quale un software custom system rintraccia, visualizza e sonorizza in tempo reale le particelle di polvere nell’aria che passano attraverso un raggio di luce. L’installazione utilizza una videocamera digitale per catturare l’attività delle particelle di polvere che attraversano il raggio di luce. Il custom software analizza il segnale video per localizzare ogni singola particella e rivela la sua traiettoria attraverso la proiezione di un’immagine elaborata. Ne risulta che particelle fisiche disegnano una traccia del loro movimento, altrimenti invisibile, sulla “tela digitale”. Il software conferisce anche un suono e uno spazio a ogni particella che rintraccia e che visualizza, creando una contemporaneamente un’esperienza audiovisiva. Ho imparato molto lavorando su questo progetto e potrei fare qui un elenco (potenzialmente molto noioso) di dettagli tecnici. Ma la cosa più importante che ho capito è che non devo permettere alle implicazioni tecnologiche di questo “nuovo campo” di interferire con la mia sensibilità artistica e con i processi creativi. È stata la conferma del fatto che l’artista può (e dovrebbe lottare per) ottenere una relazione spontanea e intuitiva con questo “nuovo” mezzo.

– Nella sua ricerca del potenziale poetico insito nell’invisibile e nel microscopico, “Convergenze Parallele” mi ricorda i viaggi di Qfwfq, un personaggio di Le Cosmicomiche di Italo Calvino, dove il microscopico e il fisico si trasformano in poesia…

Sì, adoro Le Cosmicomiche di Calvino! È vero, nel personaggio di Qfwfq e nei suoi viaggi si trovano analogie con il contesto della mia opera, sia per quanto riguarda in generale il suo concetto e le sue intenzioni, sia per l’esperienza che potenzialmente offre agli spettatori. In generale, nel mio lavoro l’enfasi è posta sull’atto della percezione, qualcosa che tutti noi facciamo a ogni dato momento con il mondo che ci circonda. Anche se lo percepiamo tutti in maniera diversa, condividiamo le stesse capacità empiriche quando ci relazioniamo con il mondo. Io mi interesso di questo atto, così come dell’osservazione della natura e del mondo artificiale.  rovo che le tecnologie digitali siano un mezzo perfetto per accordare la nostra percezione con il mondo che ci circonda e in particolare per armonizzarci con quanto c’è di impercettibile. Come accennavo prima,  convergenze parallele genera un’esperienza audiovisiva sincronizzata, animando lo spazio circostante e immergendo lo spettatore in correnti di movimento gestuale. L’opera reagisce al movimento dell’aria nello spazio espositivo, sia che si tratti di correnti d’aria naturali o di movimenti d’aria creati dallo spettatore. Perciò interagisce concretamente con l’ambiente e con gli spettatori che ne fanno parte. Convergenze parallele agisce come un’interfaccia attraverso la quale gli spettatori conciliano la discrepanza percettiva tra quello che vedono effettivamente nello spazio reale (il movimento delle particelle di polvere che attraversano un  aggio di luce) e quello che vedono e ascoltano tramite l’installazione (l’amplificazione audio-visiva delle traiettorie delle particelle). I due contesti spaziali dell’opera, il “reale” e il “digitale”, coesistono parallelamente tra loro, ma convergono nel processo di percezione proprio di ogni spettatore. Al termine dell’esperienza, forse non sarà la complessità delle traiettorie o il suono ad accompagnare lo spettatore, ma una risonanza della  iscrepanza percettiva di quelle convergenze parallele.