ottobre 23, 2009 8:15
Intervista a Janez Janša che con Igor Stromaier presenta ProblemMarket allo Share Festival 2009 nella mostra Market Forces a cura di Simona Lodi.
Simona Lodi: Rimango sempre stupita dall’enorme energia che Janez Janša emana e sono colpita dall’entusiasmo con cui porta avanti i suoi progetti artistici.
Ma sono talvolta confusa dalle sue molteplici identità e attività: artista e direttore artistico di Aksioma, (www.aksioma.org), il suo lavoro ha una forte connotazione sociale, e si caratterizza per un approccio intermediale. Le tematiche dei suoi lavori sono caratterizzate dal saper visualizzare questioni calde. Con il suo lavoro-azione Problemmarket ha anticipato insieme a Igor Štromajer il crollo delle dot.com, dimostrando in modo univoco la complessità delle forze del mercato e di come agiscono su di noi.
Così voglio fargli un po’ di domande.
S.L.: Quando ci siamo incontrati per la prima volta a Torino anni fa per una tua performance a Share Festival tu eri il presidente del Consiglio di Amministrazione di Problemmarket.com – The Problem Stock Exchange (www.problemmarket.com) e ti chiamavi Davide Grassi . Chi eri allora e chi sei ora? Cos’ è e come funziona Problemmarket.com?
J.J.: “Che cos’è un nome?…Non è una mano, né un piede, né un braccio, né una faccia, né nessun’altra parte che possa dirsi appartenere a un uomo…Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome”? diceva Giulietta.
Mi chiamo Janez Janša ma sono sempre io, solo che con un altro nome. Ho effettuato questo cambio anagrafico nell’estate del 2007.
Problemarket.com” controlla l’andamento del mercato all’interno del quale si negoziano le azioni di Società che si occupano della compravendita di problemi. Queste trattano le proprie “merci” all’interno del Mercato Libero dei Problemi sul quale però il CDA della Problemarket.com non ha un diretto monitoraggio. Se non c’è cosa che non possa essere venduta su eBay, e se i valori immateriali sono sempre più spesso all’origine di ingenti flussi di denaro, anche una realtà apparentemente negativa come i problemi, se considerata dal giusto punto di vista, può diventare una risorsa economica, e una fonte di profitto. Per questo, Problemarket.com favorisce la nascita di aziende che lavorano sulla compravendita di problemi, e offre una piattaforma in Internet per lo scambio delle loro azioni, titoli, e obbligazioni, che si svolge attraverso una apposita valuta: il PRO. Secondo la nostra logica, i problemi non vanno risolti, ma mantenuti in quanto fonte di profitto: ecco perché il nostro CDA ha unanimemente sostenuto la candidatura del candidato George W. Bush nelle elezioni presidenziali americane del 2004, investendo in questo modo sul mantenimento dei problemi che la sua presidenza ha generato nel quadriennio precedente; così si spiega anche perché in un passato recente Antonio Caronia, direttore di PROMediaSet, il Centro Studi dei problemi mediatici con sede a Milano, si sia apertamente congratulato con il Premier italiano Silvio Berlusconi per l’abilità con cui ha saputo tenere in vita il conflitto di interessi durante il suoi vari mandati e per la costanza nel fornire sempre nuovi problemi al settore giudiziario. Caronia ha perciò invitato il Cavaliere ad una collaborazione a lungo termine con Problemarket.
S.L.: Questo progetto da una parte è in grado di mettere in risalto i problemi, individuali o collettivi, globali o locali, su cui l’azienda si accinge a fare investimenti, e dall’altra lascia trasparire in maniera ironica e sferzante la denuncia della centralità che l’economia sta acquistando non solo nella vita individuale, ma anche nelle scelte politiche della collettività, sempre più condizionate dai poteri economici delle multinazionali”.
Ma tornando al cambio dei connotati anagrafici… non sei l’unico in Slovenia con questo nome…
J.J.: Si, è vero, ci sono anche un regista teatrale e un artista d’arti visive. Poi c’é un quarto Janez Janša che vive e lavora in Slovenia ma non opera nel settore artistico. Fino al settembre scorso ricopriva la carica di primo Ministro della Repubblica di Slovenia. Un politico di destra, neoliberale e conservatore. Ora guida l’opposizione…
S.L.: Si é parlato molto di questo combio di nome, specialmente in seguito alla censura del progetto Signature event Context (http://www.aksioma.org/sec) al festival Transmediale08 di Berlino. Qual è il motivo che sta alla base di questo gesto?
J.J.: Intendi la loro censura o il nostro cambio di nome?
S.L.: Il cambio di nome… e la ragione della censura
J.J.: La ragione del cambio di nome é di carattere personale e per questo non intendo renderla pubblica. Comunque le interpretazioni non sono mancate: si é parlato di “gesto politico”, di “sovraidentificazione con il leader” e “affermazione sovversiva”, ma anche di “mera operazione di marketing”, “gesto banale” e perfino di “insulto allo spirito e all’ispirazione dell’avanguardia attraverso una svendita mediatica.”
Una tra le interpretazioni piú simpatiche l’ha proposta Zdenka Badovinac, la direttrice della Museo d’arte moderna di Lubiana, la quale sostiene che “Attraverso la moltiplicazione del nome di Janez Janša la funzione del Primo Ministro ha assunto, all’interno di questa specifica azione artistica, una posizione simile a quella delle le lattine di zuppa Campbell’s nel lavoro di Warhol.”
Per quanto riguarda invece l’esclusione della performance Signature event Context da Transmediale08, in programma per la serata di inaugurazione del festival, il motivo va ricercato nelle “convinzioni curatoriali ed etiche” della curatrice Nataša Petrešin Bachelez. Noi non abbiamo ricevuto nessun’altra spiegazione che vada oltre queste quattro parole.
Qui possiamo offrire ai lettori questi due link per una migliore comprensione del lavoro
http://www.aksioma.org/sec/caronia.html
http://www.aksioma.org/sec/quaranta.html
S.L.: Hai fatto qualche mese fa una mostra da Fabio Paris (www.fabioparisartgallery.com )- SS-XXX | Die Frau Helga, The Borghild Project Reconstruction – in occasione della pubblicazione del libro RE:akt! Reconstruction, Re-enactment, Re-reporting, curato da te insieme ad Antonio Caronia e Domenico Quaranta. Il tema della mostra mi trasporta in un passato della storia mondiale che ha dei riverberi ancora oggi inquietanti. Soprattutto per come i media hanno trattato l’argomento. Dici che ti interessano i “buchi neri” della vicenda e di come “implementarli”. Cosa cerchi di dimostrare?
J.J.: All’origine di questo lavoro sta una notizia, comparsa per la prima volta su un sito internet tedesco nel 2005 ed immediatamente rilanciata in varie parti del mondo da autorevoli testate quali il Clarin, Der Spiegel, il Corriere della Sera, secondo la quale già nel 1941 un equipe di scienziati nazisti avrebbe cercato di realizzare la prima bambola gonfiabile della storia dell’umanità che permettesse ai giovani soldati tedeschi di dar sfogo ai propri impulsi sessuali senza rischiare di contrarre malattie veneree e di mescolare i geni della razza ariana con quelli di altre razze da loro ritenute inferiori.
La notizia originale era ricca di particolari alcuni dei quali si potevano facilmente verificare. Altri invece non trovavano conferma alcuna né sui libri di storia né da nessun’altra parte. Ma questo si poteva semplicemente imputare al fatto che l’intera documentazione del progetto Borghild (cosí era appunto chiamata questa “operazione di massima segretezza”) é andata perduta in seguito al pesante bombardamento che la città di Dresda, dove si stava realizzando la bambola, ha subito verso la fine del conflitto mondiale.
Dunque risultava difficile giudicare se la notizia fosse vera o falsa ma pareva verosimile e nessuna delle autorevoli testate che l’ha ripresa ne ha minimamente messo in dubbio l’autenticità.
Comunque nella mia ricostruzione del progetto Borghild la veridicità o meno del fatto originario non sta al centro della questione. Come nota Domenico Quaranta nel suo saggio pubblicato in RE:akt! Reconstruction, Re-enactment, Re-reporting “in questo caso, ‘ricostruire’ non significa recuperare al presente un fatto originario, ma ‘costruire un’altra volta’ sulle fragili fondamenta offerte dalla memoria; raccogliere la sua fortuna mediatica e contribuire attivamente a essa, affiancando vero e verosimile, storiografia e fantasia, verità e interpretazione” aggiungendo che “la Ricostruzione del progetto Borghild non si affida a nessun senso di fedeltà al passato, perché sa che il passato giunge a noi già irrimediabilmente manipolato. Cerca piuttosto di esplorare la nostra fiducia nel valore di prova degli oggetti e dell’immagine mediatica.
Einstein sosteneva che è la teoria a determinare quello che osserviamo, nella storia come nella scienza: e la teoria che soggiace al Borghild Project è molto interessante perché consente di esplorare, in una volta sola, il potere probatorio del lacerto mediatico; le innovazioni scientifiche e tecnologiche sviluppate dal Terzo Reich; e alcune significative implicazioni ideologiche della teoria della razza pura.”
S.L.: RE: akt! è una piattaforma, un mostra collettiva itinerante (Bucarest, Lubiana, Rijeka) curata da Domenico Quaranta, poi un libro che raccoglie i testi di vari autori e le opere. Un progetto molto articolato che Caronia presenterà a Share Festival 2009…
J.J.: La mostra raccoglie dieci diversi modi di affrontare il concetto di “enaction”: da Ich Lubbe Berlin! (SilentCell Network, 2005), una ripresa dell’incendio del 1933 del palazzo del Reichstag a Berlino, dove viene esplorato il significato attuale dei simboli, come lo stesso Reichstag, e concetti quali “comunismo” e “terrorismo”; a Das KAPITAL (Janez Janša, 2006), una rappresentazione che rimette in scena l’occupazione del 1968 della Cecoslovacchia per mano delle forze del Patto di Varsavia utilizzando codici espressivi cari agli artisti di strada; da C’était un rendez-vous (déja vu) (Janez Janša e Quentin Drouet), un progetto che gioca con la storia paradigmatica di un’opera d’arte famosa, il film C’était un rendez-vous di Claude Lelouch; a VD as VB (2007), una serie di azioni in cui Vaginal Davis, una drag queen di Los Angeles, interagisce con le performance di Vanessa Beecroft.?In Mount Triglav on Mount Triglav (2007 – 2008) i tre artisti Janez Janša, Janez Janša, Janez Janša rimettono in scena una celebre performance degli anni sessanta del gruppo OHO, e ripresa dagli Irwin nel 2004 per il loro progetto Like to Like, riproponendola sulla cima del monte Triglav (simbolo dell’identità nazionale slovena) e trasformandola successivamente in una scultura d’oro intitolata Monument to the National Contemporary Art (Golden Triglav). In Slovene National Theatre (2007), Janša traduce un triste episodio di recente razzismo nei confronti degli zingari – in Slovenia noto come “il caso Ambrus” – in una piece teatrale. Nel loro Synthetic Performances (2007), Eva e Franco Mattes (0100101110101101.ORG) ripropongono sulla piattaforma virtuale di Second Life una serie di performance storiche che sono tutto tranne che virtuali, trattando questioni come come quella del corpo, la violenza, il sesso e il dolore, esplorando il significato di questi questioni nel mondo virtuale. In SS-XXX | Die Frau Helga – The Borghild Project Reconstruction (2007), Janez Janša aggiunge nuovi dettagli e prove a una “leggenda metropolitana” riguardante la presunta creazione della bambola gonfiabile da parte dei nazisti.?RE:akt! non sfrutta solo la performance e il “re-enactment” ma anche strategie come documentazione, remix, “re-invoicement”, ricostruzione e rimediazione (come ad esempio nel progetto The Day S?o Paulo Stopped dell’artista brasiliano Lucas Bambozzi) e altri mezzi di informazione come stampe fotografiche, video, installazioni mediatiche e perfino architettoniche come nel progetto Il porto dell’amore, un omaggio di Janez Janša a Fiume come esempio di utopia pirata.
Il libro é stato recentemente pubblicato dalla FPeditions di Brescia e si propone di offrire alcune risposte alle domande collegate alla pratica artistica del re-enactment e la sua possibile ridefinizione. Attraverso i testi di critici, teorici e artisti quali Jennifer Allen, Antonio Caronia, Rod Dickinson, Domenico Quaranta e Jan Verwoert, e attraverso la presentazione di dieci progetti artistici, il libro cerca di esplorare il rapporto tra gli aspetti storici, sociali e linguistici del re-enactment ed il senso di questa pratica artistica in rapporto alla storia della performance ed alla crescente mediatizzazione della vita.
S.L.: Quale è il concept e come si è sviluppato?
J.J.: Nel corso degli ultimi anni il termine reenactment, e con esso le pratiche che definisce, sono andati incontro, in ambito artistico, a un crescente successo. Questo successo ha preso forma, da un lato, grazie all’avvento, e al successo, di una nuova generazione di performance artist interessati a rimettere in scena performance seminali del passato; e, dall’altro, attraverso una serie di eventi, mostre e convegni che hanno contribuito ad attirare l’attenzione su questo termine.
Da un lato il successo del reenactment sembra collegato a una parallela, energica ripresa della performance art in ambito artistico, sia come genere praticato dalle nuove generazioni, sia come pratica artistica che cerca una propria storicizzazione. Dall’altro, il termine reenactment accompagna due fenomeni che hanno, almeno a un primo sguardo, ben poco in comune: la rimessa in scena di performance artistiche del passato e la riproposizione, in forma performativa, di eventi “reali” – siano essi legati alla storia o alla cronaca, al passato o al presente. Entrambi questi aspetti meritano di essere considerati con attenzione, se non altro perché lasciano emergere la complessità dei fenomeni, delle motivazioni e delle modalità operative che si è convenuto raccogliere sotto un unico termine ombrello: quello, appunto, di reenactment.
L’esposizione RE:akt! Reconstruction, Re-enactment, Re-reporting, curata da Domenico Quaranta, indaga sulle complessità di questo concetto e sulle strategie di analisi, di critica culturale e di espressione artistica insite nel reenactment.
RE:akt! mette a confronto canoni ideologici e intellettuali correnti, strutture di potere, norme e canali di distribuzione reinscenando alcuni fatti storici e culturali importanti.
Attraverso un processo di analisi, decostruzione, ricostruzione e rimessa in scena, il progetto esamina il ruolo dei media e la loro capacità di manipolare le percezioni e creare leggende storiche postmoderne e mitologie contemporanee.
S.L.: Ho l’impressione che tu voglia dimostrare che i fatti non esistono finché non se ne crea l’informazione, la storia, a quel punto non solo si crea un’opinione, ma anche la forma alla realtà. Cosa rispondi?
I fatti, sia nella memoria personale che in quella collettiva, esistono solo in virtù delle tracce – scritte, iconografiche, materiali e mnemoniche – che hanno lasciato. Come ha dimostrato molto efficacemente l’artista francese Pierre Huyghe nel suo The Third Memory (il re-enactment della clamorosa rapina di Brooklyn – alla quale Sidney Lumet si ispiró per la realizzazione del film culto Dog Day Afternoon – per la quale Huyghe ingaggia il vecchio John Woytowiczs, l’autore originale della rapina) nel processo di ricostruzione, persino il protagonista originario di un evento non può evitare di confrontarsi con il modo in cui esso è stato ricostruito da altri. Se ne conclude che bypassare i media, e il ruolo mediatore della memoria, è pressoché impossibile.