Frontiers of Interaction V. Intervista con Leandro Agrò

frontiers of interaction

In bilico fra arte e ingegneria, tecnica e filosofia, ufficialmente Leandro Agrò è un interaction designer, ma preferisce definirsi un “ibrido”. Partito da Agrigento, a 14 anni fra pc e motorino sceglie il primo. E arriva lontano, in California passando da Milano dove risiede. Frontiers of Interaction, evento di cui è ideatore, è il motivo per cui lo abbiamo intervistato.

Ma senza indugiare oltre ecco con le sue parole la storie e l’evoluzione del progetto, qualche curiosità e un gradito sguardo critico alle tematiche proposte. Un’intervista densa che fa riflettere sulle prospettive di sviluppo del web che abbandonando il dominio dell’immateriale si sta spostando sulle “cose” (the Internet of Thinghs, o web 3.0, o SPIME), fra smart city, socialnetork e progettazione ecosostenibile.

Frontiere (nemmeno a dirlo) dell’arte, della tecnologia e della nostra vita quotidiana su cui vale la pena soffermarsi almeno per qualche minuto.

[Nella Foto: Leandro Agrò (a sinistra), Carlo Maria Medaglia del CATTID di Roma (centro) e Matteo Penzo (co-founder Frontiers) davanti all’Acquario Romano, con la maglietta di Frontiers of Interaction V.

Fonte | ArtsBlog.it

(altro…)

Intervista con Bottin e Meneghini

sciame1
William Bottin e Francesco Meneghini presentano l’opera Sciame 1 a Share Prize 2009.

– Qual’è il ruolo dell’arte digitale nella rappresentazione della complessità e del caos?

GB: Non credo che l’arta digitale offra in sè una chiave di lettura privilegiata rispetto alle tematiche della complessitià. Forse, rispetto ad altre pratiche rappresentative, può rendere
visibili alcuni meccanismi elementari che stanno alla base di fenomeni complessi oppure attivare generazione casuali che possono formentare una certa idea piuttosto elementare di caos.

FM: L’arte digitale è legata alla matematica e al codice e le opere manifestano caratteristiche estremamente caotiche e complesse.
Per questo l’arte digitale  porta sotto gli occhi di tutti la complessità del mondo e l’intrinseca relazione che esso ha con la natura.

– Market forces: nella tua esperienza quotidiana di artista come entri in relazione con le forze del mercato? Pensi che le varie infrastrutture hardware e software della nostra realtà digitale siano forze del mercato che soggiogano l’artista o che gli aprono nuove possibilità espressive?
GB: Credo che l’artista digitale sia interamente soggiogato dalla tecnologia che adotta. Nella migliore delle ipotesi può cercare di libersene alterandola nell’hardware attraverso pratiche
poco ortodosse (ma molto diffuse) come il circuit bending o il feedback.
Quanto alle forze del mercato credo agiscano da sempre ineluttabilmente come la forza di gravità: tutta la nostra vita è influenzata da essa e non solo la vita degli esseri umani.
Ogni nostro rapporto o rappresentazione del mondo è mediato, forse addirittura dettato, da queste forze.

FM: Credo che ogni forma d’arte si soggiogata dai fenomeni di mercato. nonostante questo l’artista dovrebbe tentare di agire in maniera più libera possibile, poco importa se la sua produzione rientrerà comunque nel mercato artistico e verrà catalogata e giudicata e stimata. Per quanto riguarda le infrastrutture e gli strumenti dell’artista,  Bruce Mau nel suo “Manifesto” dice:  Hybridize your tools in order to build unique things. Even simple tools that are your own can yield entirely new avenues of exploration. Remember, tools amplify our capacities, so even a small tool can make a big difference.
Da questo punto di vista l’artista digitale non usa strumenti uguali per tutti ma costruisce i propri ogni volta scrive una nuova riga di codice.

– Quale è stata l’idea che ti ha ispirato e che cosa hai imparato da questo progetto?
GB: Non c’è stata un’ispirazione particolare, è stata più che altro un’identificazione di un mondo e di una percezione che ci sono sembrati immediatamente interessanti da inventare e rappresentare.
Penso che, al di là degli aspetti puramente tecnici che abbiamo dovuto approfondire per completare l’istallazione, da un progetto di questo tipo non si finisca mai di imparare poiché la sua natura intrisecamente mutevole e suscettibile costringe a continui aggiustamenti volti a ricercare un equilibrio precario.

FM: Sono sempre stato attratto dalla natura e dalla luce, tutte le mie opere precedenti sono un ponte tra natura e tecnologia.
Sciame è la  comunicazione tra elementi fisici in movimento caotico e la loro traduzione in musica. Una sorta di natura interpretata e amplificata.
La creazione di un’opera digitale spinge l’artista sempre un pò oltre nella ricerca e nella scoperta. Neppure noi all’inizio dell lavoro sapevamo che suono avrebbero prodotto tutte le nostre “api”

– Solitamente la musica generativa nasce e si sviluppa in ambiente completamente digitale, prendendo come input casuale dei numeri, in questo caso la causalità è data dal movimento caotico dei pezzetti di cotone e viene decifrata e tradotta in musica attraverso un procedimento analogico come le onde magnetiche del Teremin. Da dove è nata l’idea di costruire questo sistema per la visualizzazione di input casuali di un sistema?
GB: Non credo si tratti di musica generativa, in questo caso.
Il moto caotico non fa che influenzare il flusso continuo della sintesi vocale – che è in sè completamente digitale, sebbene la tecnologia del giocattolo che utilizziamo possa apparire più semplice di un software per computer. Il movimento complesso degli insetti di carta captato dall’antenna, unito ad un’oculata brutalizzazione del grillo parlante, di fatto non produce musica (se per musica intendiamo l’organizzazione del suono). Produce piuttosto un discorso indecifrabile in cui ogni tentativo di verbalizzazione è di fatto troncato dal movimento degli insetti, le sequenze di suoni sintetizzati dal grillo parlante vengono continuamente mescolate e invece di produrre fonemi e successivamente parole, cioè che rimane è un linguaggio reso completamente afasico e inefficace dalla complessità/caoticità di tutto il sistema.

FM: Un parte importante del progetto consisteva nel dare suono alla complessità caotica della natura, che in questo caso si manifesta attraverso degli elementi fisici mossi da una colonna d’aria. Il theremenin è stata per noi la perfetta interfaccia in grado di captare questo moviemento e di tradurlo in segnali midi.
Il grillo parlante attraverso il suo sintetizzatore dà voce agli impulsi ricevuti dal theremin, emettendo sillabe e frammenti di parole. Le voci dei nostri insetti volanti.

Intervista con Andreas Muxel

connect
Andreas Muxel presenta l’opera Connect a Share Prize 2009.

– Qual è il ruolo che l’arte digitale ricopre nel rappresentare caos e complessità?

Se si guardano le opere d’arte a codice generativo, ritengo che il computer sia uno strumento molto efficace nella creazione di prodotti visivi complessi. Ad esempio, se si immettono sequenze iterative nel programma, è possibile produrre milioni di punti o di linee al secondo. Come strumento di calcolo, il computer discende da una tradizione di metodi risolutivi di tipo razionale. Fa esattamente quello che gli si richiede. Infatti è proprio il principio digitale dotato di due condizioni, on e off, che gli impedisce di generare caos o irregolarità. Si possono simulare molto bene questi principi, ma alla fine si tratta sempre di una simulazione. Per produrre il caos tramite un programma digitale è necessaria un’interfaccia per il mondo analogico che esegua variabili imprevedibili nell’operazione.

– Forze del mercato. In che modo interagisci con le forze del mercato nella tua vita quotidiana? Ritieni che le architetture hardware e software che compongono la nostra realtà digitale siano forze del mercato che opprimono l’artista o che, al contrario, gli offrano nuove potenzialità d’espressione?
Mi piace l’idea di utilizzare hardware e software open-source. Agli inizi del mio progetto, usavo il linguaggio di programmazione open-source Processing per simulare sistemi dinamici. Ma in seguito, quando ho iniziato a lavorare concretamente sulla scultura, sono passato ad Arduino, una piattaforma open-source per l’utilizzo fisico del computer. A parte il fatto che si tratta di strumenti gratuiti, credo soprattutto che le comunità siano molto attive. C’è uno scambio di conoscenze tra le persone che rende perciò possibile trovare soluzioni a quasi tutti i problemi o eventualmente di discuterne nei forum. In confronto a strumenti commerciali dove si è costretti ad accettare le funzioni offerte, qui si può contribuire nell’elaborazione di ulteriori sviluppi.

– Qual è stata l’idea che ti ha ispirato all’inizio e che cosa hai imparato da quel progetto?
In passato usavo il computer principalmente per produrre modelli in movimento, inserendo nel programma comandi relativamente semplici. Alla fine il risultato era sempre un prodotto virtuale su uno schermo. Per Connect ho iniziato a sperimentare con materiali fisici per creare il movimento. Ho costruito sistemi analogici in cui gli elementi interagiscono per via di connessioni materiali tra loro. Una volta si è interrotta una connessione creandone a caso una nuova. Questo è stato il punto di partenza di quella che poi è diventata la scultura. È così che ho imparato come un comportamento imprevedibile può fornire l’ispirazione per le mosse successive.

– Partendo da elementi semplici e da poche regole Connect ci pone di fronte a comportamenti complessi. Cosa ci puoi dire della relazione tra semplicità, ricorsività e complessità?
La logica del programma di ogni modulo in Connect è abbastanza semplice. Ciascun chip è regolato semplicemente da una misurazione di base e da un algoritmo di controllo. I moduli iniziano a reagire tra loro per via della costruzione di connessioni fisiche. Se una barra è collegata a una sfera si comporta come un pendolo doppio con un movimento caotico e la struttura continuamente ricostruita della scultura diventa il suo programma analogico di comportamento non lineare. Osservando il sistema non si può mai sapere come e quando si costruisce la prossima connessione. Credo che sia un aspetto molto importante del lavoro. Quando lo si osserva, si fanno delle supposizioni ma alla fine il sistema agisce con tempi e modalità sue.

Intervista a Ralf Baecker

baecker_web
Ralf Baecker presenta l’opera Calculating Space a Share Prize 2009.

– Qual è il ruolo che ricopre l’arte digitale nel rappresentare caos e complessità?

Penso che l’arte digitale si confronti con la complessità nella maggioranza dei casi. Nel momento stesso in cui è implicato un computer con le sue milioni di unità in commutazione, ci si trova a confrontarsi con un sistema complesso. Può agire secondo determinismo, ma le parti racchiuse in un software che operano sull’hardware devono interagire tra loro e possono generare comportamenti imprevisti (bug). Nel caso poi le macchine siano collegate ad altre o abbiano dei sensori, la complessità diventa multiforme.
Parlando in modo più specifico e dal punto di vista artistico, credo che complessità e caos esercitino una forte attrazione su di noi, forse perché ci ricordano cose di cui siamo a conoscenza per natura o attraverso i sistemi sociali ed economici. L’artista può installare un sistema molto semplice e chiaro potenzialmente capace di generare un comportamento imprevisto. Ma deve evitare di immaginarsi la complessità, è libero di sperimentare e di sfruttare in modo improprio quelle tecnologie per creare qualcosa che non deve competere con la scienza, l’ingegneria o il mercato, può essere solo speculativo.

– Le forze del mercato. Come interagisci con le forze del mercato nella tua vita di tutti i giorni? Ritieni che le architetture hardware e software della nostra realtà digitale siano forze del mercato che opprimono l’artista o che al contrario gli offrano nuove potenzialità d’espressione?
Per quanto riguarda le mie pratiche artistiche quali la ricerca, l’elaborazione del linguaggio e dell’immagine, la programmazione di software e la creazione di prototipi di hardware, mi viene naturale e comodo lavorare con open software, ma non lo considero un obbligo. In certi casi mi vedo costretto a utilizzare software di tipo “industriale standard” che si adattano in certi flussi di produzione come ad esempio CAD, stampa e prestampa e decodificatori per video. In un certo senso questi sono i miei interfaccia con il mercato, con i quali sono costretto a convivere.
L’enorme successo del movimento open-source e Internet ha avuto un grandissimo impatto sul modo di lavorare degli artisti digitali. Sembra che Internet offra la risposta a quasi tutti i problemi tecnici, ma ha anche la tendenza ad amplificarne alcuni.
Per quanto riguarda l’hardware la situazione è completamente diversa perché la produzione di componenti semiconduttori come i transistor, i CPU e i microcontrollori si è trasformata in un processo complicato che richiede una tecnologia molto elaborata. Gli artisti sono costretti a utilizzare chip preconfezionati che nel loro insieme di istruzioni includono i concetti di gerarchia propri del mercato. Gli attuali microchip portano impresso sul loro layout la nostra realtà culturale e materiale ed evolvono in quanto sono necessari per costruire la prossima generazione di chip. Secondo me la potenzialità dell’artista consiste nel tradurre e ripensare le funzioni del mercato in molteplici direzioni e sembianze.


– Qual è stata l’idea che ti ha ispirato all’inizio e cosa hai imparato da quel progetto?

Ho iniziato a interessarmi del contesto storico e culturale di computer e calcolatori. Stavo cercando il nesso tra le radici logico-formali e meccanico-fisiche di quelle macchine. Avevo in mente una macchina che unisse la tradizione dei primi strumenti combinatori e filosofici (ars magna) con i dispositivi cibernetici epistemologici degli anni cinquanta. Il mio obiettivo era quello di ingrandire i livelli di cui si compone il digitale e dare una visione patafisica che unificasse lo spazio di calcolo (computazione materiale attraverso simboli) e il risultato di questo processo, la simulazione (visualizzazione). Ho fatto esperimenti con materiali non tradizionali per costruire i principali neuroni logici porte/artificiali NO/E/O per renderli tattili, dargli una struttura. Sono state le prime particelle elementari del mio personale ambiente di programmazione hardware per creare un semplice algoritmo che lavora in parallelo e genera modelli complessi. È stato come riappropriarmi del digitale.

– Hai detto che “la macchina svela e nasconde allo stesso tempo, come se si trattasse di un segreto”. Potresti descrivere questo paradosso?
In Calculating Space ogni singola cifra binaria è costruita manualmente (legno, corde, leve, pesi e via dicendo). È possibile seguire un bit che si commuta da 0 a 1 e viceversa. L’intera logica di elaborazione diventa evidente allo spettatore. Non c’è nulla nascosto in una scatola nera, ad eccezione delle schede dei microcontrollori che amplificano e ripetono i segnali. Ma questa trasparenza assoluta non aiuta a capire il processo. Si potrebbe pensare che dia chiarezza o addirittura che sia didattico, ma appare misterioso e contemplativo.

Intervista a LIA

proximityofneeds_web

Lia presenta l’opera Proximity Of Needs a Share Prize 2009.

Qual è il ruolo che l’arte digitale ricopre nel rappresentare caos e complessità?
Con un programma e l’utilizzo del fattore random si possono ottenere risultati affascinanti e inaspettati che ci permettono di fare cose che nessuno aveva mai immaginato prima.
Si possono creare opere molto più complesse rispetto a quello che si potrebbe fare con qualsiasi altro strumento artistico.


Forze del mercato. In che modo interagisci con le forze del mercato nella tua vita quotidiana? Ritieni che le architetture hardware e software che compongono la nostra realtà digitale siano forze del mercato che opprimono l’artista o che, al contrario, gli offrano nuove potenzialità d’espressione?

Per quanto riguarda l’hardware, penso che oggi gli strumenti necessari a produrre arte digitale siano abbastanza accessibili (se messi a confronto con altre apparecchiature professionali, come ad esempio quelle per la fotografia).
Dal punto di vista dei software ormai ci sono molti programmi open-source a disposizione, come ad esempio processing (www.processing.org) e openframeworks (www.openframeworks.cc) che consentono di creare lavori digitali senza dover investire grandi somme di denaro.


Qual è stata l’idea che ti ha ispirato all’inizio e cosa hai imparato da quel progetto?

Il mio lavoro si occupa prevalentemente di visualizzazione (e in qualche caso di sonorizzazione) di diversi principi. Faccio una “traduzione” di quei principi (come nel caso di ProximityOfNeeds dove il principio di attrazione è il tema principale) a livello visivo (o audiovisivo) che può essere sperimentato o esplorato dall’utente/spettatore. Mi piace l’idea che chiunque possa sperimentare e interpretare i miei lavori in maniera del tutto personale.


Quali sono stati gli elementi d’attrazione e i campi di forza che ti hanno portata all’arte generativa?

Quello che mi piace dell’arte generativa è la possibilità dell’interazione, del movimento e del cambiamento. Non c’è niente che possa essere previsto e può succedere di tutto (in una gamma predefinita di possibilità). Quando ho in mente un’idea che voglio rappresentare, il programma che si utilizza per realizzare l’opera può condurre a risultati sorprendenti che difficilmente potrebbero essere ottenuti attraverso forme d’arte tradizionali. Allo stesso tempo, il programma può essere utilizzato più o meno allo stesso modo in cui si usano i materiali/strumenti artistici tradizionali, perfezionando il lavoro fino a che non si è soddisfatti dei risultati.

Il programma di Share Festival è on-line

marketforces_perhome

Cari amici di Share festival,

il programma Market Forces 09 è online. Dalla teoria della complessità ai supermercati d’artista, la quinta edizione del Piemonte Share Festival da forma alla molteplicità del caos attraverso installazioni, mostre, performance, i battiti e, naturalmente, con l’attesa premiazione delle opere finaliste di Share Prize. Anche quest’anno Share Festival si apre alla città offrendo nuove prospettive, azioni e interventi. Nelle sale dell’Università e dell’Accademia per incontrare gli studenti. Nelle istituzioni, partecipando al dibattito europeo sulla creatività e l’innovazione “CreATe: connecting ICT research end creative enterprises”. Nei musei, collaborando col Castello di Rivoli e con il PAV, che aprono gratuitamente le porte al nostro pubblico. Con i festival torinesi clubtoclub e Viewconference, con i quali è nato il progetto Digital Orbit: i più importanti eventi di arti digitali della città in sinergia tra loro, in una serie di appuntamenti di risonanza internazionale, che si innestano nel mese dell’arte contemporanea torinese come un percorso, una mappa, un’orbita che attraversa la città.

Vai al programma

Scarica il press kit

Intervista a Andy Cameron curatore ospite di Share Festival 2009

Andy Cameron

Andy Cameron

Domanda: Market Forces è il titolo scelto per questa quinta edizione di Share Festival, cosa vuol dire?
Andy Cameron: E’ una di quelle frasi che mi riporta indietro agli anni’80 e ai gloriosi giorni di Margaret Thatcher e Ronald Regan. E’ una frase neoliberale che implica tutta una prospettiva politica ed economica basata sull’idea che il mercato sia una specie di tecnologia, una specie di macchina. E’ la mano invisibile di Adam Smith. E’ il “laissez faire”. E’ la scuola di Chicago. Come l’idea è stata realizzata negli anni ’80 e ’90 fa parte di un progetto neoliberale: la regolamentazione da parte del governo è negativa perchè interferisce con il lavoro naturale della macchina, il mercato ha il suo sistema proprio, la sua logica interna e dovremmo lasciarlo andare, non dovremmo controllarlo.

Ci sono tutta una serie di interessanti questioni sul controllo. Controlliamo noi il mercato o il mercato controlla noi? Chi o cosa è il soggetto della storia? Ci sono aree sociali che vanno oltre gli scopi delle Forze del Mercato? E chi comprende più i mercati oggigiorno, quando i prodotti scambiati sono così complessi e a un alto livello di astrazione. Sto parlando dei complessi prodotti e sistemi finanziari che sono stati in parte responsabili della recente recessione globale.

Ho notato che diverse opere d’arte cercano di modellare lo stesso set di dinamiche – dinamiche che stanno sul limite tra il caos e fuori, che sono sempre sul confine del controllo – ma hanno modellato queste dinamiche in termini puramente estetici.

E verso la fine del 2008 Bruce Sterling (curatore ospite di Share Fest 2008) ha tenuto un interessante workshop a Fabrica dove ha trattato di Arte Generativa – opere basate su sistemi e algoritmi, piuttosto che sull’espressione umana diretta. Ancora una volta mi è sembrato che al cuore del problema ci sia un bilanciamento complesso tra controllo e caos, e una domanda sulla posizione del soggetto – chi o cosa è la forza trainante? Chi decide quale valore?

Finalmente c’è stata la recente crisi finanziaria, annunciata da molto tempo e ancora compresa poco.
Così, Market Forces, era un titolo irresistibile, connettendo arte e economia e colpendo proprio sul bottone dello zeitgeist.

Potresti descrivere i rapporti tra arte e mercato ? Come vedi i rapporti tra l’innovazione artistica e la comunicazione d’impresa? in quali direzioni stiamo procedendo?
L’arte è sempre stata un mercato e penso che lo sarà sempre. In questo senso non è diverso da nessun altro sistema di scambio di beni. Sto parlando di arte contemporanea. Dall’altro punto di vista, commerciale e comunicativo, non c’è contraddizione tra creatività e commercio, tra arte e soldi. Il capitale ha la capacità di liberare straordinarie energie creative. Amo la pubblicità, o almeno un tipo di pubblicità e sono interessato a quegli artisti che tirano giù i cancelli tra arte e mercato – Tomato, Random International, Natzke, Art+Com per nominarne alcuni, e sicuramente gli artisti che lavorano a Fabrica, come ad esempio Joao Wilbert, un artista giovane molto interessante con il suo progetto exquisiteclock.org – un sito web ma anche un’installazione site specific, applicazioni marketing, e una applicazione per Iphone.

Non pensi anche che gli artisti  possono essere una fonte alternativa di conoscenze sull’economia? e che sia interessante per sfatare i luoghi comuni sull’economia di mercato quei lavori che hanno attinenza con il marketing, l’e-commerce, la comunicazione commerciale? Opere scherzose e paradossali che spesso usano il supermercato, anche in versione e-commerce, come luogo privilegiato, come lo shopdropping, il fake e il maketing virale..etc?

Non sono convinto che l’artista abbia ruolo se confrontato con il mercato. In ogni caso ogni artista vive dentro al mercato, come tutte le altre persone. Ma sono d’accordo sul fatto che un artista possa agire con successo in un contesto o in uno spazio commerciale.
Quale luogo migliore di un supermarket per un’installazione d’arte? O un negozio di moda?

Quali propositi ti sei posto per questa tua prima avventura come curatore di un festival di arte e cultura digitale?
Come è fare il curatore? Molto divertente. Rafforza ed è un privilegio.

Che cosa è la cultura digitale e cosa è l’interattività?

Che cosa è la cultura digitale? Che cosa non è cultura digitale? L’interattività è un concetto più specifico – comunicazione tra due canali, in e out. E’ una scala graduale – da un lato ci sono le rappresentazioni narrative, i romanzi, i film e così via, dall’altra ci sono la xbox  una conversazione.

La processualità è diventata una categoria estetica intrinseca all’arte digitale, è in corso uno spostamento da un universo rappresentativo a uno relazionale?

Si non potrei essere più d’accordo. E’ espressa molto bene in italiano, si legge bene. In realtà è già accaduto. Le agenzie di pubblicità sono molto stressate da ciò. Tutte le persone lo sono.
Guarda al lavoro fatto da  Kevin Slavin e Frank Lantz a area/code. Commerciale, intelligente e completamente relazionale – un’estetica relazionale.

Hai partecipato come giurato al Festival Ars Electronica, nella sezione Interactive art quali impressioni hai avuto dalla più grande e storica manifestazione legata a questo ambito? Condividi il solito  entusiasmo di Linz per la tecnologia tout cour?

Riguarda meno la tecnologia e più l’arte. Che è come dovrebbe andare. Ars Electronica ha fatto una grossa scommessa 30 anni fa e ha funzionato bene per Linz. E adesso  Ars Electronica sta evolvendo in qualcosa di nuovo, un qualcosa che è maggiormente al centro delle cose, un centro di arte, non il ghetto ma il centro, un luogo dove tecnologia, design e arte si incontrano naturalmente. Sono molto contento per loro.

I Diari di Nanchino di Massimo Canevacci. L’atomo e il Pixel: 1° Puntata

massimo canevacci

Il prof. Massimo Canevacci, una delle voci più interessanti dell’antropologia culturale italiana, come forse sapate da quest’anno non insegna più in Italia. Trasferitosi in Brasile, una terra che ama e studia da anni, attualmente è visiting professor a Nanchino presso la CUCN (Communication University of China Nanjing) dove insegnerà comunicazione visuale per circa 6 mesi.

Il professore sta tenendo un diario di questa esperienza, scritto con la sensibilità etnografica e lo stupore sempre rinnovato per il mondo che lo contraddistinguono. Ho avuto la fortuna di ritrovarli nella mia casella di posta e leggendoli li ho trovati così belli che ho subito chiesto il permesso di pubblicarli, pensando che fossero un documento importante da condividere con un pubblico più ampio, appassionato di arte e curioso di scoprire i meccanismi che animano il nostro mondo contemporaneo.

Così “I Diari di Nanchino” verranno ospitati su ArtsBlog nel corso dei prissimi mesi. Seguiremo insieme l’evoluzione di questo viaggio attraverso l’arte, la cultura, la comunicazione visuale, la scoperta di un ambiente culturale nuovo come la Cina, le riflessioni e le esperienze personali di Massimo, che ringrazio per aver accettato la proposta. Già pronte le prossime 4 puntate, che pubblicheremo come appuntamento domenicale del blog a partire da questa settimana.

Intanto buona lettura con l’arrivo a Nanchino e il primo giorno di lezione, sicura che apprezzerete questa “finestra” un po’ particolare che apriamo oggi e che e scopriremo mano mano insieme, anche attraverso foto inedite.

[Nella foto: Casa di Massimo Canevacci – Potlach d’addio. Note le feste a casa del professore aperte a studenti e amici, per quella d’addio è stato organizzato un potlach in cui oggetti e ricordi della casa venivano donati ai pèresenti]

Font| ArtsBlog.it

(altro…)

REFF . Dal fake all’originale e viceversa

logohead

REFF: la storia di una contaminazione che continua. Al punto che l’originale adesso è quasi indistinguibile dal suo fake. Cosa è successo?

Pochi giorni fa all’Opificio Telecom, viene presentata la nuova edizione del concorso Romaeuropa Web Factory. Ecco cosa scopriamo. Il concorso quest’anno si sigla REWF e adotta le licenze Creative Commons: primo elemento di contaminazione con il suo falso REFF. Ma non è finita. Le tecniche di remix e mashup prima vietate dal regolamento assumono un ruolo centrale, addirittura esplicitamente promosse: secondo elemento di conteminazione. Infine, a sorpresa, fra i partner del nuovo WebFactory figura Beatpick, a sua volta partner del Fake, e persino nella stessa funzione: mettere a disposizione degli artisti il suo archivio di musicale. Terzo elemento di contaminazione che sfiora in questo caso l’identificazione totale: il falso entra nel corpo dell’originale attraverso una sua componente organica, un vero e proprio “innesto” restando nella metafora biologica.

Perchè parlare di questa storia su un blog che si occupa di arte? Non solo perchè è stata vinta una battaglia culturale su almeno due fronti – la legittimità e il valore delle forme di libera circolazione dei sapere e quella del lavoro di migliaia di artisti che da Warhol, a Borroughs, a Fluxus hanno messo il remix al centro della loro produzione. Ma anche perchè la dinamica brevemente descritta è paradigmatica del rapporto fra la produzione culturale e artistica che nasce dall’interstizio, dai bug del sistema, dalla pancia ribollente della metropoli, e le realtà corporate/istituzionali.

La “realtà”, la materia creativa – originaria più che originale, anche quando si presenta sotto forma di un falso (d’autore) – nasce in quelle pieghe ed è lì che crea il suo valore: un valore che il mercato usa e conosce alla perfezione. Intanto, se il REFF strizza l’occhio e saluta con favore la peculiare mutazione in corso, c’è da chiedersi quali saranno le prossime mosse e in che direzione si evolverà il rapporto fra questo riuscitissimo fake e il suo originale: ovvero Fondazione Romaeuropa e in testa a tutti il colosso Telecom Italia.

E a dire il vero, le cose sembrano già muoversi parecchio. Il REFF esce su Wired Italia di ottobre con un articolo di Francesco Monico, direttore della Scuola di Media Design e Arti digitali della NABA. Il sito, dopo l’attacco ricevuto ad agosto è nuovamente online  con un restyling del logo e della piattaforma, e l’iniziativa viene invitata a partecipare all’IGF Italia (incontro preparatorio dell’Internet Governance Forum dell’ONU), per raccontare la sua esperienza a cavallo fra arte, creatività, innovazione e dititti digitali, annunciando la preparazione di un grande evento finale in primavera che coinvolgerà Roma e altre capitali internazionali, fra cui probabilmente Londra e New York.

Staremo a vedere.

Fonte|ArtsBlog.it

Recensione OMM di Fabrizio Vespa

Motor, Orchestra Meccanica Marinetti

Motor, Orchestra Meccanica Marinetti

A dispetto del nome, l’Orchestra Meccanica Marinetti non è un gruppo musicale composto da più elementi, ma la sigla coniata come omaggio al Futurismo e ai sui “rumoristi” dietro cui si cela l’artista digitale Angelo Comino in arte Motor.
Oggi alle ore 18,30 si è esibito all’interno delle attività Polincontri presso l’Aula Magna del Politecnico in corso Duca degli Abruzzi 24 con ingresso libero fino ad esaurimento posti. Ciò che è andato in scena è uno spettacolo insolito ed eccezionale in cui è al centro un solo uomo, dotato di un esoscheletro cioè di uno scheletro meccanico esterno, attraverso il quale comanda e dirige una serie di macchine e in particolare due robot percussionisti che suonano dal vivo su due bidoni d’acciaio. Dall’interazione tra il performer e gli automi si sviluppa un mondo di suoni e gesti ascrivibili ad una sorta di meta-teatro del futuro che vengono accompagnati dalle immagini proiettate su un grande schermo, posto a sigillo di una struttura scenica molto suggestiva, vicina alle atmosfere di Metropolis di Fritz Lang.
L’immaginario evocato, pur collegandosi in modo ludico ad un secolo di distanza alle intuizioni sonore e tecnologiche dei seguaci di Filippo Tommaso Marinetti, si lega alle radici industriali della città, ai vagheggiamenti di opere come The Man-Machine dei Kraftwerk e soprattutto ad una riflessione sulla tecnologia e sulla definizione di umano tant’è che viene espressamente dedicato a Nag Hammadi, pensatore gnostico del III secolo dopo Cristo. “C’è un legame profondo – afferma Motor – tra scienza, tecnologia e gnosticismo. Le stesse mitologie hacker sono impregnate di gnosticismo. Basti pensare ai miti della onnipotenza degli hacker più bravi nella rete, onnipotenza legata in sostanza alla loro conoscenza, alla loro gnosi, che li pone al di sopra degli altri, quasi come divinità. O al disprezzo del corpo, che viene sentito come un limite, da superare, da abbandonare. La Chiesa non temeva tanto le scoperte scientifiche in sè (anche se per secoli le tecnologie furono considerate studi di interesse minore) quanto la ribellione in sé”. Di fatto questo progetto, presentato ancora in una forma non definitiva, in cui ricerca artistica e innovazione si fondono insieme rappresenta il pilota voluto dalla Camera di Commercio e da Piemonte Share dell’operazione Action Sharing ed è il risultato della complessa collaborazione di Angelo Comino con l’Associazione Robotica Piemonte, il LIM (Laboratorio Interdisciplinare Meccatronica), il Politecnico di Torino e le aziende di robotica del territorio piemontese come Prima Electronics, Erxa e Actua.
L’orizzonte finale è la celebrazione tutta contemporanea del nuovo rapporto tra l’uomo e la macchina, che muovendosi dai presupposti gnostici e dalle avanguardie storiche attraversa la mitologia cyberpunk con brani tratti da Ballard e Burroughs.

via Fabrizio Vespa