Fra cinema, arte, critica sociale e generi, intervista al Tekfestival

tekfestival 2010

Pubblico con molto piacere l’intervista che ho realizzato in questi giorni con il Tekfestival. Del programma abbiamo parlato qualche giorno fa in un post di presentazione: posso solo ricordarvi che è davvero ricco, che fra gli altri verrà proiettato il film di “The Yes Men” (artisti che stimo particolarmente), che dare un occhio al sito e alla selezione di trailer (veramente bella) e molto consigliato. Meritano infine attenzione la master class con Nicolas Winding Refn (a ingresso libero) e una sesione speciale dedicata a Marina Grzinic: peccato per l’incotro previsto con l’autrice, che purtroppo ha dovuto disdire la sua partecipazione all’ultimo momento.

Veniamo dunque all’intervista. Tekfestival è una realtà indipendente che negli anni si è costituita sotto forma di associazione: un gruppo realmente spinto dal desiderio di indagare i conflitti che attraversano la realtà contamporanea. Partendo dalla prospettiva culturale (l’unica, mi vien da dire, che davvero ci appartiene) dell’Occidente. “Ci facciamo carico della posizione che occupiamo nel mondo“, affermano in una delle frasi più belle e sentite dell’intervista, che riassume in modo semplice un’atteggiamento e una scelta complessi. Una delle principali attività che svolge il gruppo è infatti la ricerca (visiva, sociale, antropologica, politica) da cui derivano l’impostazione e le scelte curatoriali del festival, libere dall’urgenza di accontentare sponsor e finanziatori di sorta.

L’ultimo elemento da mettere in luce è infine una riflessione sull’accesso alla cultura. Capita spesso (troppo) di verificare come grandi eventi finanziati da istituzioni pubbliche e private applichino politiche di prezzo sostanzialmente discriminanti (10-20-30 euro di biglietto significa spesso precludere a larghe fasce di popolazione la possibilità di fruire della cultura). Tekfestival prende una posizione netta: “L’accesso alla cultura dovrebbe essere sempre gratuito e incentivato soprattutto nei luoghi periferici e tra le classi svantaggiate“. E nei limiti del possibile si sforzano di tener fede a questo principio: molti degli eventi sono completamente gratuiti (in particolare quelli speciali), e i prezzi del botteghino decisamente bassi (per farsi un’idea concreta: abbonamento da 10 ingressi usufruibile da più persone a 35,00 euro.)

– Tekfestival, un’associazione, un evento a cavallo di cinema, arte, critica sociale, generi: presentazioni con il pubblico di ArtsBlog. Come nasce e come si sviluppa il progetto?

Il Tekfestival è iniziato ormai quasi dieci anni fa come una rassegna di cinema organizzata da un piccolo gruppo, Le tecniche, che si occupava di servizi audiovisivi per terzi, associazioni, privati, aziende, centri sociali. Ad un certo punto abbiamo avuto voglia di non essere più solo la manovalanza tecnica delle iniziative altrui, ma di mettere a frutto la nostra passione per il cinema, le competenze che avevamo acquisito. Soprattutto avevamo in testa un progetto politico e culturale, quello di interrogare la società in cui viviamo, le sue lacerazioni, ma anche i tanti laboratori di “resistenza” sparsi per il mondo e di farlo attraverso i racconti cinematografici e documentari. Nel giro di pochi anni il gruppo si è vistosamente allargato, piano piano si sono aggregate sulla base di una forte affinità persone con competenze e sensibilità diverse. Oggi siamo circa in dieci, lavoriamo in modo collettivo e orizzontale, cercando di condividere responsabilità, potere, decisioni. Nel panorama dei festival siamo per questo un’assoluta anomalia, da noi non ci sono direttori artistici, ma un manipolo di persone che ideano e organizzano insieme, dividendosi i compiti e spesso spendendo infinite riunioni per comporre i conflitti e gestire le differenze. Questa è anche però la nostra forza. Negli anni abbiamo capito che il Tekfestival piace soprattutto perché ha un lavoro di ricerca solido alle spalle e dentro ci puoi trovare cose diversissime tra loro, che rispecchiano le passioni inseguite dalle dieci persone che lo costruiscono.

– Quest’anno la nona edizione. Cosa ha assicurato negli anni la continuità del progetto? C’è un’edizione che per qualche motivo è rimasta nella “storia” del festival? Se sì, perchè?

Probabilmente siamo arrivati alla nona edizione perché per le persone che lo compongono, il Tekfestival è comunque un laboratorio culturale incredibilmente stimolante, che restituisce la sensazione di far parte di una dimensione creativa, di analisi, dove si cresce, che ti fa partecipare alla sfera pubblica. Di cedimenti ovviamente ne abbiamo avuti e ne abbiamo tanti, per buona parte innescati dalla cronica precarietà e inadeguatezza del nostro budget, che ci costringe a lavorare in remissione, ma cosa ancora più grave a dover continuamente aggredire la programmazione e l’offerta culturale per non far straripare le spese. Forse è proprio la natura collettiva del Tekfestival che ne ha assicurato la sopravvivenza negli anni. In questo senso possiamo pensare a due edizioni che hanno segnato per noi dei passaggi importanti. Quella del 2004, al Cinema Pasquino, quando per la prima volta abbiamo sentito che il gruppo si era allargato e che stavamo organizzando un vero festival, in un cinema grande, con tanti ospiti, un pubblico numeroso, feste tutte le sere, film cercati e scelti da noi con cura. Altrettanto importante, sebbene ben più faticosa, è stata l’edizione dell’anno scorso, quando tutto ci diceva che non l’avremmo dovuta fare perché non era “coperta” dai finanziamenti e invece dopo lunghe discussioni abbiamo deciso di non far finire il Tekfestival e di rischiare. Noi eravamo sfiniti e sfinite, avevamo lavorato sopra le nostre forze senza neanche prendere i rimborsi dei telefoni, avevamo dovuto chiamare a raccolta amiche e amici e chiedere sconti a destra e a manca, ed è stat al’edizione con il pubblico più numeroso che abbiamo mai avuto. Una grande soddisfazione.

– “Tekfestival. Ai confini del mondo… dentro l’Occidente”: quali “geografie” esplora e delimita il festival? Mi incuriosisce molto la frase che avete scelto: sembra suggerire un andare ai confini (i margini forse?) ma dal di dentro della cultura occidentale: mi sbaglio?

Fermo restando che probabilmente anche sul “sottotitolo” ognuno/a di noi potrebbe dirti una cosa differente, diciamo che originariamente volevamo suggerire che con la selezione dei film narrativi e documentari proposti avremmo guardato ai tanti confini che attraversano il nostro mondo, quelli geografici, di genere, tra le condizioni di vita ed economiche, tra i corpi, e allo stesso tempo avremmo tenuto particolarmente d’occhio cosa succede dentro il nostro Occidente a capitalismo avanzato. Ci facciamo carico della posizione che occupiamo nel mondo.

– Nicolas Winding Refn e Marina Grzinic terranno due master class per i pubblico: parliamo un po’ di loro e di come si inseriscono i due incontri nell’architettura generale del festival.

Purtroppo Marina Grzinic ci ha appena detto che non verrà per gravi impedimenti e quindi stiamo dando comunicazione che la sua masterclass è annullata. Proporremo comunque una selezione delle sue opere perché è una figura che volevamo assolutamente presentare al pubblico italiano. Lei è una femminista, teorica, video artista che ha lavorato tantissimo sui cambiamenti avvenuti nei Balcani e in Europa orientale negli ultimi trenta anni. Condensa nelle sue opere una moltitudine di temi cari al Tekfestival, come la relazione Est/Ovest, la guerra, la sessualità. Siamo veramente orgogliose/i poi di avere Refn con noi e di presentare ben 4 dei suoi film. È un regista che nell’ultimo decennio sta guadagnando un posto autorevole tra i cineasti del presente, vero indagatore dei recessi umani e degli anfratti più nascosti di una società modello come quella danese. Ci piaceva poi l’idea di ampliare lo spazio dedicato alla “formazione”, ai videomakers, a quanti hanno curiosità di sapere questi registi di cui vedono le opere come lavorano, che tipo di piste seguono e quali percorsi hanno intrapreso.

– Infine l’accesso. Noto una certa attenzione a questa tematica, come dimostra il workshop sul programma Media e le molte delle iniziative a ingresso libero. Rimango sempre colpita nel costatare che le realtà indipendenti spesso adottano politiche culturali e di accesso che mi aspetterei da grandi realtà ampiamente supportate (da pubblico e privato): che ne pensate?

Affronti un aspetto per noi di grande importanza, parte fondante del nostro progetto. L’accesso alla cultura dovrebbe essere sempre gratuito e incentivato soprattutto nei luoghi periferici e tra le classi svantaggiate. Nonostante noi non possiamo permettercelo continuiamo a fare di tutto per mantenere una politica dei prezzi bassi e accessibili, perché la nostra iniziativa non vogliamo che sia associata ad un “lusso” ma desidereremmo vederla frequentata il più possibile.