Intervista con Andreas Muxel

connect
Andreas Muxel presenta l’opera Connect a Share Prize 2009.

– Qual è il ruolo che l’arte digitale ricopre nel rappresentare caos e complessità?

Se si guardano le opere d’arte a codice generativo, ritengo che il computer sia uno strumento molto efficace nella creazione di prodotti visivi complessi. Ad esempio, se si immettono sequenze iterative nel programma, è possibile produrre milioni di punti o di linee al secondo. Come strumento di calcolo, il computer discende da una tradizione di metodi risolutivi di tipo razionale. Fa esattamente quello che gli si richiede. Infatti è proprio il principio digitale dotato di due condizioni, on e off, che gli impedisce di generare caos o irregolarità. Si possono simulare molto bene questi principi, ma alla fine si tratta sempre di una simulazione. Per produrre il caos tramite un programma digitale è necessaria un’interfaccia per il mondo analogico che esegua variabili imprevedibili nell’operazione.

– Forze del mercato. In che modo interagisci con le forze del mercato nella tua vita quotidiana? Ritieni che le architetture hardware e software che compongono la nostra realtà digitale siano forze del mercato che opprimono l’artista o che, al contrario, gli offrano nuove potenzialità d’espressione?
Mi piace l’idea di utilizzare hardware e software open-source. Agli inizi del mio progetto, usavo il linguaggio di programmazione open-source Processing per simulare sistemi dinamici. Ma in seguito, quando ho iniziato a lavorare concretamente sulla scultura, sono passato ad Arduino, una piattaforma open-source per l’utilizzo fisico del computer. A parte il fatto che si tratta di strumenti gratuiti, credo soprattutto che le comunità siano molto attive. C’è uno scambio di conoscenze tra le persone che rende perciò possibile trovare soluzioni a quasi tutti i problemi o eventualmente di discuterne nei forum. In confronto a strumenti commerciali dove si è costretti ad accettare le funzioni offerte, qui si può contribuire nell’elaborazione di ulteriori sviluppi.

– Qual è stata l’idea che ti ha ispirato all’inizio e che cosa hai imparato da quel progetto?
In passato usavo il computer principalmente per produrre modelli in movimento, inserendo nel programma comandi relativamente semplici. Alla fine il risultato era sempre un prodotto virtuale su uno schermo. Per Connect ho iniziato a sperimentare con materiali fisici per creare il movimento. Ho costruito sistemi analogici in cui gli elementi interagiscono per via di connessioni materiali tra loro. Una volta si è interrotta una connessione creandone a caso una nuova. Questo è stato il punto di partenza di quella che poi è diventata la scultura. È così che ho imparato come un comportamento imprevedibile può fornire l’ispirazione per le mosse successive.

– Partendo da elementi semplici e da poche regole Connect ci pone di fronte a comportamenti complessi. Cosa ci puoi dire della relazione tra semplicità, ricorsività e complessità?
La logica del programma di ogni modulo in Connect è abbastanza semplice. Ciascun chip è regolato semplicemente da una misurazione di base e da un algoritmo di controllo. I moduli iniziano a reagire tra loro per via della costruzione di connessioni fisiche. Se una barra è collegata a una sfera si comporta come un pendolo doppio con un movimento caotico e la struttura continuamente ricostruita della scultura diventa il suo programma analogico di comportamento non lineare. Osservando il sistema non si può mai sapere come e quando si costruisce la prossima connessione. Credo che sia un aspetto molto importante del lavoro. Quando lo si osserva, si fanno delle supposizioni ma alla fine il sistema agisce con tempi e modalità sue.